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Una malattia curabile o cronica che comporti una limitazione fisica, mentale o psichica può essere assimilata a una disabilità e obbliga il datore di lavoro a misure di adattamento

Corte di Giustizia dell'Unione europea, sentenza del 11-04-2013, cause riunite C-335/11 e 337/11.

La Corte di Giustizia dell’Unione europea è intervenute sulle norme della direttiva n. 2000/78, inerente il divieto di discriminazioni fondate anche sul fattore “disabilità” nel settore dell’occupazione.
I Giudici Comunitari hanno chiarito che può considerarsi “disabilità” uno stato patologico causato da una malattia diagnosticata come curabile o incurabile ove tale malattia comporti una limitazione, risultante da menomazioni fisiche, mentali o psichiche, che può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona alla vita professionale su un piano di parità con gli altri lavoratori, e tale limitazione sia di lunga durata.  
In Italia, la protezione dei disabili nel settore lavorativo non ha portata generale secondo la nozione comunitaria, ma concerne solo quelli che ottengono lo specifico riconoscimento previsto dalla legge n. 68/99 con riferimento alla quote di capacità lavorativa residua.
La Direttiva 2000/78 prevede, inoltre, l'obbligo per i datori di lavoro di adottare soluzioni ragionevoli per i disabili in modo da favorire lo svolgimento delle loro mansioni. Secondo la Corte, i provvedimenti di adattamento di devono essere intensi in senso ampio di ordine fisico, organizzativo e formativo. L'elenco delle misure destinate a sistemare il luogo di lavoro in funzione dell'handicap può includere anche la riduzione dell'orario, quando tale riduzione consenta al lavoratore di continuare a svolgere il suo lavoro e non costituisca un onere sproporzionato per il datore di lavoro.
La Corte di Giustizia ha stabilito che la direttiva 2000/78 ostacola una disposizione nazionale che prevede che un datore di lavoro possa porre fine al contratto di lavoro con un preavviso ridotto qualora il lavoratore disabile interessato sia stato assente per malattia, con mantenimento della retribuzione, per un determinato, quando tali assenze siano la conseguenza dell’omessa adozione, da parte del datore di lavoro, dei provvedimenti appropriati, in conformità all’obbligo di prevedere soluzioni ragionevoli per consentire l'esecuzione di lavoro alle persone disabili.
Un datore di lavoro non potrebbe, dunque, licenziare un lavoratore per sopraggiunto limite del numero massimo di assenze per malattia in un determinato periodo di tempo, nel caso in cui tali assenze siano state la conseguenza dell’omessa adozione da parte dello stesso datore di lavoro delle misure di adattamento adeguate e ragionevoli, per consentire al lavoratore disabile di lavorare. La riduzione dell’orario di lavoro può essere considerata come una misura di adattamento che il datore di lavoro deve adottare per consentire ad una persona disabile di lavorare.

13/05/2013

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