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Socio lavoratore di cooperativa: trattamento economico e ccnl applicato.

Corte di Cassazione, sentenza 4951 del 2019.

La Corte di Appello di Genova dichiarava il diritto di una lavoratrice dipendente di una cooperativa, aggiudicataria di un appalto di vigilanza e guardianato, ad essere retribuita in ragione delle tariffe salariali contenute nel ccnl pulizie multiservizi, con conseguente diritto alle differenze retributive maturate, anziché in base al ccnl portieri e custodi richiamato nel regolamento della cooperativa.

Della controversia veniva investita la Corte di Cassazione.

La legge 142/2001, nell'ottica di estendere ai soci lavoratori di cooperativa le tutele proprie del lavoro subordinato, ha disposto che le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine.

Il decreto legge 248/2007 ha stabilito che in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperativa che svolge attività ricomprese nell'ambito dì applicazione di quei contratti di categoria applica ai propri soci lavoratori i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria.

Tale previsione è stata adottata all'indomani del Protocollo d'intesa, sottoscritto il 10 ottobre 2007 da Ministero del lavoro, Ministero dello sviluppo economico, AGCI, Confcooperative, Legacoop, CGIL, CISL, UIL, in cui il Governo assumeva l'impegno di avviare ogni idonea iniziativa amministrativa affinché le cooperative adottino trattamenti economici complessivi del lavoro subordinato, previsti dalla legge 142/2001, non inferiori a quelli previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro sottoscritto dalle associazioni del movimento cooperativo e dalle organizzazioni sindacali per ciascuna parte sociale comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nel settore di riferimento. L'obiettivo condiviso dai firmatari del Protocollo è di contestare l'applicazione di contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni datoriali e sindacali di non accertata rappresentatività, che prevedano trattamenti retributivi potenzialmente in contrasto con la nozione di retribuzione sufficiente, di cui all'articolo 36 della Costituzione.

Il decreto legge 248/2007 richiama i trattamenti economici complessivi minimi previsti dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, quale parametro esterno e indiretto di commisurazione del trattamento economico complessivo ai criteri di proporzionalità e sufficienza della retribuzione, previsti dall'articolo 36 della Costituzione, di cui si impone l'osservanza anche al lavoro dei soci di cooperative.

Il fatto che nel tempo sia stata attribuita alla contrattazione collettiva il ruolo di fonte regolatrice nell'attuazione della garanzia costituzionale di cui all'articolo 36 della Costituzione, non impedisce al legislatore di intervenire a fissare in modo inderogabile la retribuzione sufficiente, attraverso, ad esempio, la previsione del salario minimo legale, oppure, come avvenuto nella materia in esame, attraverso il rinvio alla contrattazione collettiva.

L'attuazione per via legislativa dell'articolo 36 della Costituzione, nella perdurante inattuazione dell'articolo 39 della Costituzione, non comporta il riconoscimento di efficacia erga omnes del contratto collettivo ma l'utilizzazione dello stesso quale parametro esterno, con effetti vincolanti.

Il decreto legge 248/2007 presuppone un concorso tra contratti collettivi nazionali applicabili in un medesimo ambito e attribuisce riconoscimento legale ai trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria e quindi presumibilmente capaci di realizzare assetti degli interessi collettivi più coerenti con l'articolo 36 della Costituzione, rispetto ai contratti conclusi da associazioni comparativamente minoritarie nella categoria.

La Corte Costituzione ha stabilito che nell'effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l'andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, il decreto legge 248/2007 si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l'indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative.

Non si prefigura alcun rischio di lesione del principio di libertà sindacale e del pluralismo sindacale. La scelta legislativa di dare attuazione all'articolo 36 della Costituzione, fissando standard minimi inderogabili validi sul territorio nazionale, a tal fine generalizzando l'obbligo di rispettare i trattamenti minimi fissati dai contratti collettivi conclusi dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria, non fa venir meno il diritto delle organizzazioni minoritarie di esercitare la libertà sindacale attraverso la stipula di contratti collettivi, ma limita nei contenuti tale libertà, dovendo essere comunque garantiti livelli retributivi almeno uguali a quelli minimi normativamente imposti. Parimenti, le singole società cooperative potranno scegliere il contratto collettivo da applicare ma non potranno riservare ai soci lavoratori un trattamento economico complessivo inferiore a quello che il legislatore ha ritenuto idoneo a soddisfare i requisiti di sufficienza e proporzionalità della retribuzione.

Nella controversia esaminata, il regolamento della società cooperativa faceva riferimento, al fine di individuare il trattamento economico dei soci lavoratori, al ccnl portieri e custodi.

La Corte di Appello, tenuto conto del settore in cui opera la cooperativa, in base all'oggetto sociale, nonché della prestazioni rese dalla lavoratrice nell'ambito dell'appalto per il servizio di vigilanza e guardianato, ha individuato quale parametro del trattamento economico minimo obbligatoriamente applicabile ai soci lavoratori della cooperativa, quello previsto dal ccnl multiservizi.

La Corte di Appello ha correttamente escluso l'utilizzabilità del ccnl portieri e custodi, quale parametro ai fini del trattamento economico minimo, in quanto relativo ad un settore non sovrapponibile a quello oggetto dell'appalto. L'ambito di applicazione del ccnl portieri e custodi è espressamente definito come relativo ai rapporti dei lavoratori dipendenti da proprietari di fabbricati e da quelli addetti ad amministrazioni immobiliari o condominiali. Tale contratto, se pure sottoscritto dalle sigle sindacali confederali dei lavoratori (Cgil, Cisl e Uil), risulta stipulato, per parte datoriale, da un'unica organizzazione sindacale, Confedilizia, il che rende evidente il ristretto ambito applicativo della stesso e, nel contempo, non soddisfa il requisito previsto dal decreto legge 248/2007 che fa riferimento al contratto collettivo sottoscritto, anche per parte datoriale, dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria.

27 marzo 2019

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