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Risarcibilità del danno da straining: anche la situazione lavorativa conflittuale e di stress produce un danno alla salute.

Corte di Cassazione, sentenza 7844 del 2018.

Il Tribunale di Livorno accoglieva il ricorso di un dipendente nei confronti della Cassa di Risparmio di Pisa, Lucca e Livorno, accertava il diritto del lavoratore all'inquadramento nella categoria dirigenziale ed al relativo trattamento economico oltre alla regolarizzazione della posizione contributiva e riteneva essersi verificato un evento lesivo per la salute  a causa dei comportamenti tenuti dalla società, condannandola, quindi, al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.
La Corte d'Appello di Firenze confermava nella sostanza la sentenza riformando solo gli importi della condanna.
La società datrice di lavoro proponeva ricorso per cassazione.
La Suprema Corte ha ritenuto che le decisioni in favore del lavoratore sono in linea con la giurisprudenza di legittimità in tema di straining, atteso che i giudici di merito hanno adeguatamente motivato sulla situazione lavorativa conflittuale di stress forzato, accresciuto dall'allontanamento lavoratore dalla direzione generale, nonchè dall'invio di lettere di scherno diffuse in banca. Il lavoratore avrebbe subito azioni ostili anche se limitate nel numero e in parte distanziate nel tempo (quindi non rientranti, tout court, nei parametri del mobbing) ma tali da provocare in lui una modificazione in negativo, costante e permanente, della situazione lavorativa, atta ad incidere sul diritto alla salute, costituzionalmente tutelato. Il datore di lavoro è tenuto ad evitare situazioni stressogene che diano origine ad una condizione che, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, possa presuntivamente ricondurre a questa forma di danno. Il datore di lavoro può essere ritenuto responsabili anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio.
Lo stress forzato può anche derivare, tout court, dalla costrizione della vittima a lavorare in un ambiente di lavoro ostile, per incuria e disinteresse nei confronti del suo benessere lavorativo con conseguente violazione da parte datoriale del disposto di cui all'articolo 2087 del codice civile.
Nel caso affrontato, la Corte di Appello ha enfatizzato le risultanze istruttorie concernenti la risonanza che ebbe in azienda l'improvvisa estromissione del lavoratore dalla direzione generale cui si accompagnò un diffuso atteggiamento ostile e di scherno, realizzatosi anche mediante diffusione di lettere nell'agenzia, in assenza di qualsivoglia iniziativa datoriale volta a tutelare il dipendente.
Per quanto concerne il danno non patrimoniale, inteso come lesione del diritto al normale svolgimento della vita lavorativa ed alla libera e piena esplicazione della propria personalità sul luogo di lavoro, anche nel significato areddituale della professionalità, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, la prova del cui pregiudizio può essere fornita anche con presunzioni.
Anche con riguardo al danno alla professionalità da perdita di chances, il riferimento all'estromissione del dipendente da un settore strategico dell'azienda, nel quale stava progressivamente incrementando le proprie conoscenze tecniche e gestionali, e, quindi, l'impoverimento del proprio bagaglio professionale, qualificato in termini di portata patrimoniale della professionalità, poteva essere dimostrata anche in via presuntiva ed in termini di calcolo delle probabilità. Si è tenuto correttamente conto, nel caso, al riferimento all'allontanamento dalla direzione generale, alla destinazione ad una agenzia di sole tre unità ed alla circostanza secondo cui, presumibilmente, nessuno avrebbe conferito un incarico dirigenziale ad un dirigente appena rimosso.
Sul piano della quantificazione di tale danno è ammissibile la liquidazione equitativa, sicché il risarcimento può essere quantificato in una percentuale del trattamento retributivo spettante al dipendente, nell'ambito del mancato incremento delle conoscenze, impedito  dalla preclusione della continuazione delle mansioni dirigenziali.
23 novembre 2018

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