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Responsabilità del datore di lavoro e nocività dell'ambiente di lavoro.

Corte di Cassazione, sentenza 1269 del 2022.

La Corte di appello di Potenza accoglieva la domanda di un operaio, gruista escavatorista, nei confronti del datore di lavoro, diretta ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale per l'infortunio sul lavoro subito.

La Corte di Appello rilevava che la condotta imprudente del lavoratore (che, nell'effettuare le operazioni di scarico del materiale trasportato con il camion, poiché il parapetto posteriore non si apriva, rimuoveva lo spinotto forse con un martello, causando l'apertura repentina della sponda che lo colpiva al viso) non era sufficiente ad escludere la responsabilità datoriale, non potendosi, così, configurare neanche il concorso di colpa dello stesso lavoratore. Affidato incarico ad un consulente tecnico d'ufficio per la valutazione della natura e l'entità delle lesioni subite, la Corte di Appello, applicando le tabelle del Tribunale di Milano e tenuto conto dell'età dell'infortunato e della percentuale di invalidità accertata pari al 75%, condannava la società datrice di lavoro al pagamento del danno biologico differenziale e dichiarava la società assicurativa tenuta alla manleva.

Promuovevano ricorso per cassazione la società datrice di lavoro e la società assicuratrice, evidenziando motivi inerenti alla responsabilità contrattuale del datore di lavoro in caso di infortunio sul lavoro ed agli oneri di allegazione e di prova gravanti sul lavoratore che agisce per l'accertamento della violazione degli obblighi di prevenzione e sicurezza che fanno capo al datore di lavoro.

L’articolo 2087 del Codice civile non delinea un'ipotesi di responsabilità oggettiva del datore di lavoro, in quanto detta responsabilità va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, non potendosi esigere da parte del datore di lavoro la predisposizione di misure idonee a fronteggiare le cause di infortunio imprevedibili.

La prova della responsabilità datoriale, ai sensi dell'articolo 2087 del Codice civile, richiede l'allegazione da parte del lavoratore, che agisce deducendo l'inadempimento, sia degli indici della nocività dell'ambiente lavorativo cui è esposto, da individuarsi nei concreti fattori di rischio, circostanziati in ragione delle modalità della prestazione lavorativa, sia del nesso eziologico tra la violazione degli obblighi di prevenzione ed i danni subiti.

L’elemento costitutivo della responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell'obbligo di prevenzione è la colpa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore; l'obbligo di prevenzione di cui all'articolo 2087 del Codice civile impone all'imprenditore di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità del rischio.

Il concetto di specificità del rischio, da cui consegue l'obbligo del datore di provare di avere adottato le misure idonee a prevenire ragioni di danno al lavoratore, va inteso nel senso che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di allegare e provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'una e l'altra, e solo se il lavoratore abbia fornito tale prova sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che l'infortunio o la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi.

Gli indici della nocività dell'ambiente lavorativo, che devono essere indicati dal lavoratore, non sono altro che i concreti fattori di rischio, circostanziati in ragione delle modalità della prestazione lavorativa; tale allegazione rientra nell'ambito dei fatti che devono essere indicati da colui che agisce deducendo l'inadempimento datoriale.

In via generale che l'estensione della norma di protezione (articolo 2087 del Codice civile), sulla cui violazione è fondato l'inadempimento contrattuale, necessariamente postula l'identificazione della concreta fattispecie e delle specifiche modalità del fatto cui ricondurre quell'obbligo di protezione, cioè una compiuta identificazione degli indici di rischio e di pericolosità dell'ambiente lavorativo in cui la prestazione viene resa, con particolare riguardo alle misure di sicurezza cosiddette innominate, che non conseguono da più specifiche disposizioni di legge.

Nel caso affrontato, la Corte di Appello non ha indicato il rischio specifico esistente né i concreti fattori di pericolo atti a differenziare la situazione lavorativa in cui si trovava ad operare il dipendente rispetto al generico rischio cui va incontro qualunque individuo, e dunque ha trascurato di individuare la nocività dell'ambiente lavorativo, tale da esigere l'apprestamento di misure appropriate alla situazione, e l'eventuale violazione degli obblighi di protezione posti in capo al datore di lavoro. La Corte di Appello si è concentrata sull'analisi della condotta del lavoratore, per verificare la sussistenza o meno di un comportamento abnorme o di una clamorosa imprudenza e, dunque, per accertare la ricorrenza di un rischio elettivo, profilo che costituisce il limite (unico) alla copertura assicurativa da parte dell'ente previdenziale di qualsiasi infortunio in quanto ne esclude l'essenziale requisito della occasione di lavoro, con ciò confondendo i presupposti costitutivi della tutela previdenziale (T.U.  1124/1965), che prescinde da qualsiasi profilo di responsabilità, con i diversi elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno che richiede l'inadempimento del datore di lavoro a misure di sicurezza nominate o innominate.

26 settembre 2022

 

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