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Può perdere il diritto ai buoni pasto il lavoratore che rinuncia alla pausa pranzo.

Corte di Cassazione, sentenza 22985 del 2020.

La Cassazione ha respinto il ricorso di una lavoratrice del Ministero della Giustizia avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma che le aveva negato il diritto al pagamento del controvalore pecuniario dei buoni pasto non percepiti. La lavoratrice, infatti, aveva prestato servizio rinunciando, con il consenso dell’Amministrazione, alla pausa pranzo, non percependo, per questo, i buoni pasto giornalieri.

La Corte di Appello aveva sostenuto che il contratto collettivo di riferimento condiziona il riconoscimento del buono pasto all’effettuazione della pausa pranzo, cui l’interessata aveva rinunciato. I giudici dell’appello avevano evidenziato che la circolare ministeriale del 1998, nel riconoscere la possibilità del dipendente di rinunciare alla pausa con mantenimento del diritto al buono pasto, si riferiva al caso di specifiche ragioni organizzative di interesse dell’Amministrazione, che, nel caso di specie, non erano sussistenti essendosi realizzata una volontaria rinuncia della dipendente.

La Suprema Corte ha confermato la decisione sostenendo il principio per cui il diritto alla fruizione dei buoni pasto ha natura assistenziale e non retributiva, finalizzata ad alleviare, in mancanza di un servizio mensa, il disagio di chi sia costretto, in ragione dell’orario di lavoro osservato, a mangiare fuori casa. Il diritto in questione, dunque, dipende strettamente dalle previsioni delle norme o della contrattazione collettiva che ne consentono il riconoscimento e, in particolare, qualora sia connesso ad una pausa destinata al pasto, il sorgere del diritto dipende dal fatto che la pausa sia in concreto fruita.

Nel caso affrontato, i presupposti del diritto sono fissati dal contratto collettivo, secondo cui il buono pasto viene attribuito per la singola giornata lavorativa nella quale il dipendente effettua un orario di lavoro ordinario superiore alle sei ore, con la relativa pausa all’interno della quale va consumato il pasto. Poiché è risultato pacifico che la rinuncia alla pausa pranzo sia dipesa da una scelta della lavoratrice, non sono stati ritenuti integrati gli estremi cui la disciplina collettiva subordina il diritto alla fruizione dei buoni pasto.

Per la Suprema Corte, inoltre, non ha rilievo la autenticità o meno della rinuncia della lavoratrice propriamente ai buoni pasto, in quanto è sufficiente che vi sia stata abdicazione alle pause, quale elemento necessario al riconoscimento del diritto.

2 gennaio 2021

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