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Pubblico impiego: solo quando i fatti oggetto dell’imputazione sono connessi con il lavoro, l’amministrazione è tenuta al rimborso delle spese legali al dipendente assolto.

Corte di Cassazione, sentenza 28597 del 2018.

La Corte d'Appello di Palermo, confermando la sentenza del Tribunale di Agrigento, rigettava la domanda proposta da una funzionario del Ministero dell'Interno, addetto all'Ufficio Passaporti della Questura di Agrigento, rivolta a ottenere il riconoscimento del diritto al rimborso da parte dell'Amministrazione, delle spese legali sostenute per la difesa nel processo penale per peculato e ricettazione di valori bollati, da cui era stato assolto con formula piena.

La Corte d’Appello riteneva che le condotte contestate fossero del tutto indipendenti dall'assolvimento dei compiti istituzionali affidati al funzionario e che la qualità di pubblico ufficiale dallo stesso rivestita, aveva costituito una mera occasione e non la causa delle condotte contestate. Pertanto, valutava che non potesse trovare applicazione, nel caso in esame, il decreto legge 67/1997 il quale dispone che le spese legali sono rimborsate dalle Amministrazioni di appartenenza qualora i fatti e gli atti oggetto dei giudizi di responsabilità civile, penale e amministrativa siano connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali, e sempre che, i predetti giudizi, si siano conclusi con sentenza di proscioglimento.

Il funzionario proponeva ricorso per cassazione.

Il beneficio delle rimborso delle spese legali è riconosciuto al dipendente, ingiustamente processato per fatti e atti, purchè gli stessi siano connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali.

La previsione di un siffatto diritto ha la duplice funzione di tutelare il dipendente dall'ingiusta sottoposizione a giudizi civili e penali, dovuta all'esposizione causata da ragioni inerenti lo svolgimento del servizio, nonché, di porre la pubblica amministrazione al riparo da una perdita di efficacia del proprio operato che detta esposizione potrebbe determinare.

Non è corretto pretendere di fondare la pretesa sul fatto che la domanda di rimborso derivi dal generico collegamento tra le condotte imputate (peculato e ricettazione di valori bollati) e l'attività istituzionale del Ministero. Nel caso in esame, il rapporto di servizio aveva costituito la mera occasione per la sottoposizione a giudizio del funzionario. Le condotte imputate allo stesso, lungi dal corrispondere a esigenze dell'ufficio da lui ricoperto, rispondevano al suo esclusivo interesse e contrastavano con l'agire della pubblica amministrazione.

Il proscioglimento dalle accuse si rivela irrilevante ai fini della pretesa al rimborso delle spese legali, atteso che il decreto legge 67/1997 ha inteso prevedere quale condizione per l'accesso alla tutela patrimoniale una specifica connessione tra giudizio e compiti del dipendente prosciolto, là dove, nel caso esaminato, le difese erano state spese per reati collegati a condotte del tutto estranee all'espletamento del servizio e all'assolvimento degli obblighi istituzionali. La posizione di funzionario dell'Ufficio passaporti della Questura aveva costituito l'occasione dei comportamenti imputatigli, ma non avrebbe potuto certo considerarsi come la causa degli stessi, tale da riconoscergli il diritto al rimborso delle spese sostenute per la difesa processuale.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore condannandolo al pagamento di oltre 4500 euro di spese legali.

4 febbraio 2019

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