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Pubblico impiego: responsabilità del dirigente che non raggiunge gli obiettivi.

Corte di Cassazione, sentenza 11161 del 2018.

Un Dirigente Medico con mansioni di radiologo presso una Struttura Complessa Radiologia ha agito contro l’Azienda Sanitaria Locale per l'accertamento della illegittimità del licenziamento intimato per responsabilità dirigenziale particolarmente grave e reiterata, rilevando, tra l’altro, la violazione del procedimento disciplinare.

La Corte di Appello di Torino ha respinto il reclamo proposto dal Dirigente Medico avverso la sentenza del Tribunale di Cuneo che aveva rigettato il ricorso. La Corte di Appello ha affermato che la differenza tra la responsabilità dirigenziale e quella disciplinare è costituita dalla intrinseca diversità di ciascuna delle due forme di responsabilità, ciascuna correlata alla natura dell'addebito, ed ha precisato che la responsabilità disciplinare è correlata a condotte violative dei singoli doveri che gravano sul lavoratore, mentre quella dirigenziale è correlata al mancato raggiungimento degli obiettivi e alla grave inosservanza delle direttive impartite. La Corte di Appello ha ritenuto, nel caso affrontato, che la responsabilità posta a fondamento del recesso avesse natura dirigenziale e non disciplinare: per la contestazione del mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati (in particolare quello di refertazione degli esami entro le 24 ore) e della perdurante inosservanza delle direttive impartite per il conseguimento degli obiettivi assegnati.

Il dirigente ha proposto ricorso per cassazione lamentando l’omissione del procedimento disciplinare ritenuto dal medesimo necessario ogni volta che il recesso sia motivato da ragioni disciplinari, ivi comprese le ipotesi di responsabilità dirigenziale di cui all’articolo 21 del decreto legislativo 165/2001.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del dirigente condannalo a rifondere le spese del giudizio per oltre cinquemila euro.

L’articolo 21 del decreto legislativo 165/2001, nella riformulazione operata dalla legge 145/2002, applicabile al caso affrontato, esprime la volontà del legislatore di accentuare, rispetto alla configurazione della responsabilità dirigenziale, il ruolo svolto dagli obiettivi, massimizzando l'effetto del mancato raggiungimento degli stessi ed orientando verso un accertamento di tipo oggettivo, che prescinde, cioè, da colpevoli inadempimenti nella gestione dell'ufficio e delle risorse umane e strumentali.

La responsabilità dirigenziale va distinta da quella disciplinare: l'elemento caratterizzante la prima delle due forme di responsabilità si rinviene nella incapacità del dirigente di raggiungere il risultato programmato, incapacità che prescinde da condotte realizzate in violazione di singoli doveri, in quanto la idoneità alla funzione si misura sui risultati che il dirigente è stato capace di assicurare rispetto a quelli attesi, non già sui comportamenti tenuti.

Nel caso di inosservanza delle direttive imputabili al dirigente, ossia di comportamento nel quale potrebbe essere ravvisato un tipico inadempimento fonte di responsabilità disciplinare, il discrimine va ravvisato nel collegamento con la verifica complessiva dei risultati, sicché l'addebito assumerà valenza solo disciplinare nella ipotesi in cui l'amministrazione ritenga che la violazione in sé dell'ordine e della direttiva, in quanto inadempimento contrattuale, debba essere sanzionata; l’inosservanza delle direttive dovrà, invece, essere ricondotta alla responsabilità dirigenziale qualora la violazione abbia inciso negativamente sulle prestazioni richieste al dirigente ed alla struttura dallo stesso diretta.

La responsabilità dirigenziale per violazione di direttive, proprio perché presuppone uno stretto collegamento con il raggiungimento dei risultati programmati, deve riferirsi a quelle direttive che siano strumentali al perseguimento dell'obiettivo assegnato al dirigente: solo in tal caso la loro violazione può incidere negativamente sul risultato, in via anticipata rispetto alla verifica finale.

Non si può confondere il rispetto delle direttive con il corretto adempimento degli altri obblighi che discendono dal rapporto di lavoro con il dirigente (diligenza, perizia, lealtà, correttezza e buona fede tanto nel proprio diretto agire quanto nell'esercizio dei poteri di direzione e vigilanza sul personale sottoposto). La loro violazione, infatti, in sé e per sé considerata, mentre può essere ritenuta idonea a ledere il vincolo fiduciario che deve legare il dirigente all'Amministrazione, non rileva ai fini della responsabilità dirigenziale, nella quale ciò che conta è il mancato raggiungimento del risultato.

Nel caso affrontato, l’interessato aveva subito quattro verifiche periodiche con esito negativo poste a base del recesso. Il mancato conseguimento dell'obiettivo della refertazione entro le 24 era stato correttamente aveva configurato la ragione posta a base del licenziamento che era, quindi, correlata alla sola responsabilità dirigenziale e non a quella disciplinare. Le valutazioni formulate in sede di verifiche periodiche attenevano al complessivo carente contributo del dirigente al raggiungimento degli standard qualitativi e quantitativi prefissati ed alla perdurante inosservanza delle direttive impartite per conseguirli.

21 dicembre 2018

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