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Pubblico Impiego: nella stessa area professionale del ccnl non vi è demansionamento.

Corte di Cassazione, sentenza 32592 del 2018.

La Corte di appello di Perugia, accogliendo l'impugnazione proposta dall'Ambito Territoriale Integrato dell'Umbria, riformava la sentenza di primo grado con cui il Tribunale di Perugia aveva condannato l'A.T.I. al pagamento in favore di una dipendente di una somma a titolo di risarcimento del danno da demansionamento.

La lavoratrice aveva dedotto che l'A.T.I., in corrispondenza del suo rientro dal congedo per maternità, l'aveva di fatto esclusa da buona parte dei suoi compiti originari, relegandola alla gestione del settore scarichi, e che, successivamente, le aveva attribuito un diverso settore del servizio, privandola anche dell'unità subordinata prevista dal relativo organico, lasciandola senza indicazioni circa le mansioni rientranti nella astratta previsione organizzativa, sicchè i suoi compiti si erano sostanzialmente ridotti al riscontro dei periodici controlli da effettuarsi sulle acque per garantirne la fruibilità.

La Corte di appello accreditava la tesi secondo cui il mutamento di mansioni era giustificato dalla circostanza che, durante l'assenza dal lavoro della lavoratrice, i compiti dell'Ente erano mutati in ragione dell'avvenuto completamento del Piano d'Ambito ed erano ormai rivolti principalmente all'attività di controllo e vigilanza sulla gestione dei servizi idrici.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dalla lavoratrice condannandola al pagamento di oltre 4500 euro di spese legali.

La riconduzione della disciplina del lavoro pubblico alle regole privatistiche del contratto e dell'autonomia privata individuale e collettiva non ha eliminato la perdurante particolarità del datore di lavoro pubblico che, pur munito nella gestione degli strumenti tipici del rapporto di lavoro privato, per ciò che riguarda l'organizzazione del lavoro resta pur sempre condizionato da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria generale.

Il d.lgs. 165/2001 ha sancito il diritto del dipendente ad essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, o alle mansioni considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi.

La lettera dell’articolo 52 del d.lgs. 165/2001 specifica un concetto di equivalenza formale, ancorato cioè ad una valutazione demandata ai contratti collettivi. Condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità specifica che il lavoratore possa avere acquisito in una precedente fase del rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione.

In materia di pubblico impiego contrattualizzzato, il d.lgs. 165/2001 ha assegnato rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della Pubblica Amministrazione, solo al criterio dell'equivalenza formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che possa quindi aversi riguardo alla tutela del bagaglio professionale del lavoratore, e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione.

Non è ravvisabile alcuna violazione qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo. Condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita. Il riferimento all'aspetto, necessariamente soggettivo, del concetto di professionalità acquisita, mal si concilia con le esigenze di certezza, di corrispondenza tra mansioni e posto in organico, alla stregua dello schematismo che ancora connota e caratterizza il rapporto di lavoro pubblico.

Tale nozione di equivalenza in senso formale comporta che tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili e l'assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell'oggetto del contratto di lavoro.

Resta comunque salva l'ipotesi che la destinazione ad altre mansioni comporti il sostanziale svuotamento dell'attività lavorativa.

Nel caso affrontato, è risultato accertato che la posizione organizzativa attribuita all’interessata, con il riassetto organizzativo attuato dall'Ente corrispondesse, nell'organizzazione degli uffici, al pari di quelle in precedenza assegnate, alla categoria di inquadramento posseduta.

E’ stato, quindi, escluso il diritto a permanere in un determinata posizione alla stregua di una verifica in senso sostanziale della equivalenza: l'assegnazione alle nuove mansioni, corrispondenti nel mutato assetto organizzativo al livello di inquadramento posseduto dalla lavoratrice, in quanto formalmente equivalenti, non è stato ritenuto violazione dell’articolo 52 del d.lgs. 165/2001.

4 gennaio 2019

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