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Pubblico impiego: limiti al diritto a percepire la retribuzione per lo svolgimento di mansioni proprie di una qualifica superiore

Corte di Cassazione, sentenza 24266 del 2016.

 La Corte di appello di Campobasso accoglieva la domanda proposta di alcuni dipendenti di una Azienda Ospedaliera, diretta ad ottenere il pagamento delle differenze retributive tra il trattamento percepito e quanto spettante per le mansioni di infermiere professionale.

La Suprema Corte ha successivamente confermato la sentenza rigettando il ricorso promosso dall’Azienda Ospedaliera.

Il D.lgs. 29/2003 ed il successivo D.lgs. 165/2002, pur nelle varie formulazioni susseguitesi nel tempo, recependo una costante norma del pubblico impiego, esclude che dallo svolgimento delle mansioni superiori possa conseguire l'automatica attribuzione della qualifica superiore. Si ritiene, invece, applicabile anche nel pubblico impiego l’articolo 36 della Costituzione, nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto a una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonché alla conseguente intenzione del legislatore di rimuovere con la disposizione correttiva una norma in contrasto con i principi costituzionali. In caso di assenza alle mansioni superiori, si riconosce al lavoratore il diritto al trattamento economico della qualifica superiore, salva l'eventuale responsabilità per il relativo onere economico del dirigente che abbia disposto l'assegnazione, in caso di dolo o colpa grave. Lo svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica comporta in ogni caso, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore.

Si applica al pubblico impiego l’articolo 36 della Costituzione nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, non ostando a tale riconoscimento, a norma a norma dell’articolo 2126 del Codice civile, l'eventuale illegittimità del provvedimento di assegnazione del dipendente a mansioni superiori rispetto a quelle della qualifica di appartenenza.

Neppure vale a contrastare tale principio la possibilità di abusi conseguenti al riconoscimento del diritto ad un'equa retribuzione al lavoratore cui vengano assegnate mansioni superiori al di fuori delle procedure prescritte per l'accesso agli impieghi ed alle qualifiche pubbliche, perché il cattivo uso di assegnazione di mansioni superiori impegna la responsabilità disciplinare e patrimoniale del dirigente preposto alle gestione dell'organizzazione del lavoro, ma non vale di certo sul piano giuridico a giustificare in alcun modo la lesione di un diritto di rilevanza costituzionale.

Il diritto a percepire una retribuzione commisurata alle mansioni effettivamente svolte in ragione dei principi di rilievo costituzionale e di diritto comune non è, dunque, condizionato all'esistenza, né alla legittimità di un provvedimento del superiore gerarchico che disponga l'assegnazione. Le uniche ipotesi in cui può essere disconosciuto il diritto alla retribuzione superiore dovrebbero essere circoscritte ai casi in cui l'espletamento di mansioni superiori sia avvenuto all'insaputa o contro la volontà dell'ente (invito o proibente domino) oppure allorquando sia il frutto della fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente.

Il potere attribuito al dirigente preposto all'organizzazione del lavoro di trasferire temporaneamente un dipendente a mansioni superiori per esigenze straordinarie di servizio è un mezzo indispensabile per assicurare il buon andamento dell'amministrazione. Se fosse dimostrato che nel caso concreto l'assegnazione del dipendente a mansioni superiori è avvenuta con abuso d'ufficio e con la connivenza del dipendente, starebbe al giudice di respingere la pretesa di quest'ultimo.

Il diritto a percepire una retribuzione commisurata alle mansioni effettivamente svolte in ragione dei principi di rilievo costituzionale e di diritto comune non è condizionato all'esistenza, nè alla legittimità di un provvedimento del superiore gerarchico, salva l'eventuale responsabilità del dirigente che abbia disposto l'assegnazione con dolo o colpa grave. Il diritto trova un limite nei casi in cui l'espletamento di mansioni superiori sia avvenuto all'insaputa o contro la volontà dell'ente (invito o proibente domino) oppure allorquando sia il frutto della fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente o comunque in tutti i casi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali e generali o con principi basilari pubblicistici dell'ordinamento.

5 ottobre 2022

 

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