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Pubblico impiego: incompatibilità con altri rapporti di lavoro anche a chiamata.

Corte di Cassazione, sentenza 28797 del 2017.

La Corte di Appello di Torino respingeva il reclamo proposto da un lavoratore avverso la sentenza del locale Tribunale che, all'esito del giudizio di opposizione, aveva confermato l'ordinanza con la quale era stato rigettato il ricorso proposto nei confronti della Croce Rossa Italiana, volto ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato.

La Corte territoriale ha premesso che al lavoratre, assunto con contratto a tempo indeterminato come impiegato tecnico di area B, era stato contestato di avere in costanza di rapporto sottoscritto un contratto di chiamata intermittente con la Torino Limousine per lo svolgimento dell'attività di autista, alla quale si erano affiancate altre prestazioni. Nella lettera di contestazione, inoltre, la Croce Rossa aveva fatto riferimento anche all'attività resa in favore della Student House Torino Limousine.

Della controversia veniva investita la Corte di Cassazione.

Il rapporto di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni è caratterizzato dall'obbligo di esclusività, che trova il suo fondamento costituzionale nell'articolo 98 della Costituzione con il quale il legislatore costituente, nel prevedere che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, ha voluto rafforzare il principio di imparzialità di cui all'articolo 97 Costituzione sottraendo il dipendente pubblico dai condizionamenti che potrebbero derivare dall'esercizio di altre attività.

Su detto obbligo non ha inciso la contrattualizzazione del rapporto di impiego. La materia, sottratta all'intervento delle parti collettive, è rimasta disciplinata innanzitutto dal DPR 3/1957 in forza del richiamo contenuto nel D.Lgs. 165/2001.

Le disposizioni sono assolutamente chiare nell'individuare le ipotesi di incompatibilità assoluta lì dove fa divieto all'impiegato pubblico di esercitare il commercio o l'industria e di assumere impieghi alle dipendenze di privati.

L'instaurazione di un rapporto di lavoro intermittente, che lo stesso lavoratore aveva riconosciuto essere provato, è senz'altro riconducibile all'assunzione di impiego alle dipendenze di terzi e non può certo assumere alcun rilievo che le prestazioni, rese a titolo oneroso, non siano state di fatto retribuite per l'inadempimento del datore.

La gratuità dell'incarico, che può eventualmente escludere la incompatibilità, è ravvisabile solo in presenza di prestazioni rese per una finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa, e non va confusa con la mancata riscossione da parte del dipendente delle somme allo stesso dovute in forza di pattuizioni contrattuali, sottoscritte in violazione dell'obbligo di esclusività.

La Corte di Cassazione ha, dunque, rigettato il ricorso del lavoratore condannandolo al pagamento di oltre 2500 euro di spese legali.

18 dicembre 2017

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