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Pubblico impiego e ambito di operatività del principio di non discriminazione.

Corte di Cassazione, sentenza 12334 del 2018.

La Corte di appello di Firenze confermava la pronuncia del Giudice del lavoro che aveva respinto la domanda proposta da due dirigenti, uno dell'Azienda Usl, l’altro dell’Azienda Ospedaliera, tutti appartenenti al ruolo professionale del Servizio Sanitario Nazionale, i quali, sulla premessa di svolgere mansioni aventi un contenuto assimilabile ai compiti e alle funzioni dei dipendenti appartenenti al ruolo sanitario, avevano chiesto l'accertamento del loro diritto ad un diverso inquadramento professionale, con condanna delle Aziende alla corresponsione degli emolumenti corrispondenti alle funzioni proprie dei dirigenti appartenenti a detto ruolo.

Della controversia è stata investita la Corte di Cassazione.

Più volte la Suprema Corte si è pronunciata in fattispecie in cui i lavoratori del pubblico impiego avevano lamentato la violazione dell’articolo 45 del decreto legislativo 165/2001 per disparità di trattamento rispetto ad altri lavoratori addetti a mansioni analoghe. Il principio che costantemente è stato espresso è che l'articolo 45 secondo il quale le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale, opera nell'ambito del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva e vieta trattamenti migliorativi o peggiorativi a titolo individuale, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in quella sede, in quanto la disparità trova titolo non in scelte datoriali unilaterali lesive, come tali, della dignità del lavoratore, ma in pattuizioni dell'autonomia negoziale delle parti collettive, le quali operano su un piano tendenzialmente paritario e sufficientemente istituzionalizzato, di regola sufficiente, salva l'applicazione di divieti legali, a tutelare il lavoratore in relazione alle specificità delle situazioni concrete.

L'Amministrazione pubblica deve garantire ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale e, comunque, trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi. La materia degli inquadramenti del personale è stata affidata dalla legge allo speciale sistema di contrattazione collettiva che nel settore pubblico può intervenire senza incontrare il limite della inderogabilità delle norme in materia di mansioni concernenti il lavoro subordinato privato, sicché le scelte della contrattazione collettiva sull'inquadramento del personale sono sottratte al sindacato giurisdizionale, dovendosi escludere che il principio di non discriminazione costituisca parametro di giudizio sulle eventuali differenziazioni operate in tale sede.

Il legislatore ha lasciato piena autonomia alle parti sociali di prevedere trattamenti differenziati in determinate situazioni, afferenti alla peculiarità del rapporto, ai diversi percorsi formativi, alle specifiche esperienze maturate e alle carriere professionali dei lavoratori.

Nel caso affrontato, non è in discussione che gli interessati abbiano percepito il trattamento contrattuale previsto per il proprio inquadramento contrattuale nel ruolo professionale del SSN, mentre non possono gli stessi rivendicare il trattamento previsto per gli appartenenti al ruolo sanitario, per i quali la contrattazione collettiva ha disposto diversamente.

Non è neppure contestato che le mansioni assegnate e svolte fossero riconducibili nella qualifica contrattuale di inquadramento, mentre resta irrilevante che le attività demandate possano essere convergenti o sovrapponibili a quelle svolte dagli appartenenti al ruolo sanitario, una volta stabilito che non si tratta di svolgimento di mansioni superiori nell'ambito del sistema di inquadramento proprio del ruolo di appartenenza, ma di rivendicazione di un trattamento diverso, proprio dei dipendenti di un altro ruolo.

Non si può ravvisare un contrasto con il principio di parità di trattamento di cui all'articolo 45 del decreto legislativo 165/2001, in quanto tale principio non costituisce parametro per giudicare delle eventuali differenziazioni operate dalle parti collettive, nè è ipotizzabile un contrasto con il principio di non discriminazione, non avendo tale principio valenza di clausola aperta, idonea a vietare ogni trattamento differenziato nei confronti delle singole categorie di lavoratori, rilevando sotto tale profilo specifiche previsioni normative. Neppure sono suscettibili di essere sindacate da parte del giudice le scelte operate dalla contrattazione collettiva in materia di classificazione professionale dei lavoratori, giacché è assente un parametro di giudizio cui rapportare detto sindacato: proprio il potere di classificazione professionale e di regolamentazione economica demandato dalla legge ai contratti collettivi rende le scelte compiute in proposito dalla contrattazione collettiva non suscettibili di sindacato da parte del giudice.

27 dicembre 2019

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