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Non è possibile sanzionare due volte un lavoratore per lo stesso fatto.

Corte di Cassazione, sentenza 15228 del 2020.

La Cassazione ha accolto il ricorso di un lavoratore che aveva lamentato la violazione del principio del ne bis in idem in materia di sanzioni disciplinari. Nello specifico, il lavoratore si era visto irrogare per lo stesso fatto materiale prima la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione e poi il licenziamento.

La Corte di Appello di Milano, riformando la decisione di primo grado, aveva difeso l’operato del datore di lavoro, dichiarando legittimo il licenziamento per giusta causa comminato al lavoratore, giudicato come proporzionale rispetto all’addebito contestato. La questione sulla natura della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, invece, per il giudicante di secondo grado, è stata considerata irrilevante. I giudici di Appello, infatti, pur constatando l'iniziale denominazione offerta dal datore di lavoro di sospensione cautelare e la sostanziale trasformazione, in sede di attuazione della sanzione, in sospensione disciplinare, non ne hanno tenuto conto ai fini della valutazione della legittimità del licenziamento.

Il lavoratore ha, quindi, proposto per cassazione lamentando il mancato riconoscimento della natura disciplinare della sospensione, già adottata prima del licenziamento, e la conseguente violazione del principio del ne bis in idem per aver subito due sanzioni per lo stesso fatto: prima la sospensione e poi il licenziamento.

Per la Suprema Corte, l’applicazione del principio di consunzione del procedimento disciplinare privatistico ha portato al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro in relazione a determinati fatti costituenti infrazioni disciplinari, non può esercitare una seconda volta, per quegli stessi fatti, il detto potere, ormai consumato, essendogli consentito soltanto di tener conto delle sanzioni eventualmente applicate, entro il biennio, ai fini della recidiva. In particolare, è consolidato nella giurisprudenza di legittimità il divieto di esercitare due volte il potere disciplinare per uno stesso fatto, sotto il profilo di una sua diversa valutazione o configurazione giuridica.

L’orientamento della Suprema Corte è in linea anche con quanto affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha affermato la portata generale, estesa a tutti i rami del diritto punitivo, del principio del ne bis in idem.

Nel caso in esame, dunque, la Corte di Appello erroneamente non ha ritenuto rilevante stabilire se la sospensione adottata prima del recesso dovesse configurarsi come disciplinare o cautelare, reputando tale aspetto irrilevante ai fini della decisione. Nel primo caso, invece, si sarebbe realizzata già una sanzione nei confronti del lavoratore che sarebbe stato con il licenziamento successivo punito una seconda volta per gli stessi addebiti.

La Cassazione, invece, ritiene che l’omissione dell’indagine sulla natura della sospensione si sia riverberata in una violazione del principio del ne bis in idem. In presenza di una valutazione di merito secondo cui la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione sia da considerare quale sanzione disciplinare, come sembrerebbe emergere nel caso di specie dalla detrazione della retribuzione, potrebbe dirsi, dunque, consumato il potere disciplinare del datore di lavoro e, pertanto, sussistente il lamentato vizio della legittimità del licenziamento irrogato per violazione del ne bis in idem.

Per questo motivo, la Suprema Corte ha reputato la sentenza della Corte d’Appello manchevole dell’accertamento in concreto della natura della sospensione.

19 settembre 2020

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