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Movimentazione carichi ed ernia del disco: diritto alle prestazioni INAIL. Vittoria in Corte di Appello per lo Studio Legale Carozza.

Corte di Appello di Napoli, sentenza 1151 del 2020.

Un lavoratore, assistito dall’avvocato Domenico Carozza, proponeva avverso la sentenza del Tribunale che aveva rigettato il ricorso giudiziario per ottenere l’indennizzo per danno biologico a seguito della malattia professionale patita nell’espletamento delle mansioni di giardiniere alle dipendenze della società datrice di lavoro.

Per alcuni anni il lavoratore era stato addetto alla movimentazione di carichi, ovvero trasporto di fusti di circa 35 litri, (compreso carico e scarico dal furgone e spostamento degli stessi a distanza di circa 15 metri) o di pezzi di tronchi tagliati con la moto sega (che comunque trasportava lui). Detti fusti andavano movimentati a distanza partendo dal magazzino e caricando sul furgone e successivamente scaricandoli dal furgone e portandoli vicino alle vasche. Tutto ciò sebbene egli fosse adibito alle mansioni di giardiniere (assunto quale operatore negli impianti di depurazione) in quanto inidoneo alla movimentazione manuale di carichi gravosi.

La consulenza tecnica realizzata ha confermato la spondiloartrosi lombare con riferiti episodi recidivanti di lombosciatalgia. Il CTU ha, in più, riconosciuto la natura professionale della patologia conseguente ad aggressione dell’organismo del lavoratore, etiologicamente connessa all’attività lavorativa. Per lungo tempo l’ernia del disco è stata considerata una patologia extralavorativa su base eredo-familiare, metabolica, endocrina e costituzionale. Ma perché l’ernia possa formarsi occorre si siano instaurate microlesioni che abbiano alterato l’integrità anatomica del disco intervertebrale, producendo una minorazione anatomica e funzionale in conseguenza della quale si determina la fuoruscita del nucleo polposo in pressione. Tali processi degenerativi, riscontrati a carico dei vari componenti del disco, hanno come agente causale o perlomeno concausale efficiente e determinante le ripetute sollecitazioni traumatiche che continuamente forzano i costituenti l’anfiartrosi vertebrale, producendosi danni nei segmenti più mobili della colonna, in quelli che sono più soggetti ad un logorio derivante dall’uso e nelle colonne di individui la cui attività lavorativa quotidiana è impostata su una iper richiesta funzionale del rachide. I più colpiti sono indubbiamente i lavoratori manuali (contadini, muratori, operai metallurgici, facchini e scaricatori di porto) nei quali il piccolo trauma cronico quotidiano provoca quell’insieme di lesioni traumatico degenerative e degenerativo-traumatiche a carico dei segmenti che, per motivi professionali, risultano più soggetti agli insulti traumatici.

Nel caso affrontato, l’interessato era stato già sottoposto ad intervento chirurgico per ernia del disco lombare, i cui postumi rappresentavano comunque un luogo di minore resistenza, soprattutto perché sottoposti a quotidiana e prolungata sollecitazione meccanica, conseguente all’attività lavorativa, con verificarsi di episodi recidivanti di lombosciatalgia. L’esame clinico ha evidenziato un deficit della funzionalità del rachide lombare riconducibile alla attività lavorativa prestata. La preesistenza di una patologia discale del rachide lombare, già sottoposta a terapia chirurgica prima della instaurazione dell’attività lavorativa incriminata, in rapporto alle quotidiane sollecitazioni esercitate sul rachide in conseguenza delle mansioni prestate, è stata una concausa efficiente e determinante per la insorgenza e la cronicizzazione della patologia rachidea.

Alla tale patologie, il CTU ha riconosciuto un valore, quale menomazione permanente della integrità psico-fisica, tale da raggiungere il diritto all’indennizzo.

La Corte di Appello ha, quindi, dichiarato il diritto del lavoratore all’indennizzo in capitale per danno biologico.

8 giugno 2020

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