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Lavoro parasubordinato: diritto al compenso ed onere della prova.

Corte di Cassazione, sentenza 27910 del 2019.

La Corte di Appello di Caltanissetta respingeva la domanda proposta da un lavoratore nei confronti di una società volta al pagamento di Euro 68.750,00 per l'attività professionale di coordinatore asseritamente svolta dal gennaio 2006 all'aprile 2008, giusta delibere del Consiglio di Amministrazione.

In relazione al mancato pagamento dell’attività prestata in regime di parasubordinazione, la Corte di Appello riteneva che il lavoratore non avesse fornito opportuno riscontro, né che avesse chiesto di provare di aver svolto alcuna delle attività allo stesso espressamente delegate.

Il lavoratore proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che al rapporto di parasubordinazione andrebbe applicato il principio di sufficienza dell'allegazione del titolo contrattuale e di deduzione dell'inadempimento di controparte, con onere in capo al committente di provare l'inesistenza del rapporto. Il lavoratore affermava che sarebbe stato idoneo analizzare la sola esistenza degli incarichi o del contratto per aver diritto al compenso senza l’esigenza di dimostrare l’effettiva realizzazione delle attività.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore.

Colui il quale chiede il compenso di prestazioni eseguite nell'ambito di un rapporto di cosiddetta subordinazione (articolo 409 numero 3 codice procedura civile), non può arrestarsi a palesare l'esistenza di questo, non può limitarsi ad esibire i contratti o gli atti di incarico, ma deve provare le singole prestazioni che del diritto al corrispettivo rappresentano i fatti costitutivi.

Siffatte statuizioni configurano concrete applicazioni del noto principio secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (articolo 2697 del codice civile).

Il creditore che agisce per il pagamento del suo credito, quando, la controparte nega che le prestazioni lavorative, relative a determinati periodi, siano state eseguite, ha l'onere di provare che tali prestazioni abbiano avuto regolare esecuzione, ossia, il puntuale adempimento dell'obbligazione dedotta in giudizio a fondamento della sua domanda di condanna al pagamento del compenso pattuito.

Nel caso affrontato, la Corte di Appello ha ritenuto che il lavoratore non avesse fornito alcuna prova in merito all'adempimento delle attività a lui assegnate precludendo, pertanto, il diritto al conseguenziale compenso.

27 dicembre 2019

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