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Inidoneità fisica sopravvenuta e licenziamento: il datore deve verificare i possibili adattamenti dei luoghi di lavoro.

Corte di Cassazione, sentenza 6798 del 2018.

Un dipendente di una società, inquadrato come saldatore e manutentore meccanico ed assegnato ad un cementificio, impugnava il licenziamento intimatogli per inidoneità fisica sopravvenuta, determinata da malattie (broncopneumopatia e dermatite da contatto) che non ne consentivano la esposizione alle polveri presenti sul luogo di lavoro.

Il Tribunale e la Corte di Appello ritenevano illegittimo il licenziamento.

Il Consulente Tecnico di Ufficio, cui erano state affidate le valutazioni del caso, affermava che il lavoratore era idoneo ad eseguire le mansioni affidategli se svolte nell'ambiente dell'officina, che era distante dalla cementeria solo circa 200 metri; che l'officina poteva essere preservata dalle polveri, una volta effettuata la bonifica, anche senza ricorrere alla assunzione di un ulteriore addetto a tempo pieno; che si trattava di una misura di prevenzione necessaria per tutti i lavoratori addetti all'officina. L'ulteriore misura preventiva suggerita dal CTU, consistente nello spolveramento delle parti meccaniche provenienti dallo stabilimento di produzione e nel ricovero di esse in una parte dedicata, non era eccessivamente gravosa e non richiedeva interventi strutturali, perché l'officina era già divisa in ambienti diversi. Nell'ambito dell'officina il lavoratore avrebbe potuto essere adibito anche alla saldatura, in quanto, secondo il documento di valutazione dei rischi, ogni postazione era dotata di cappa di aspirazione e gli addetti erano forniti di idonei dispositivi di protezione. L'insieme dei lavori di officina pertanto era tale da poter occupare l’interessato a tempo pieno.

La datrice di lavoro proponeva ricorso per cassazione. Anche la Suprema Corte, però, ha dato torto alla società.

La inidoneità del lavoratore derivava da una situazione di infermità di lunga durata (broncopneumopatia cronica e dermatite da contatto), tale da ostacolare la piena ed effettiva partecipazione del lavoratore alla vita professionale.

Tale circostanza rientra nel campo di applicazione della direttiva 78/2000/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione, sussistendo sia il presupposto della attinenza alle condizioni di lavoro, sia il fattore soggettivo dell'handicap.

La Direttiva dispone che per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, devono essere previste soluzioni ragionevoli. Il datore di lavoro deve prendere i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione, a meno che tali provvedimenti richiedano un onere finanziario sproporzionato.

Il decreto legge 76/2013 ha disposto, in adeguamento all’Ordinamento comunitario, che i datori di lavoro sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza.

Anche se la fattispecie affrontata è antecedente al decreto legge del 2013, vale sempre l’interpretazione del diritto interno conforme agli obiettivi di una Direttiva anche prima del suo concreto recepimento e della sua attuazione.

Non viola la libertà di iniziativa economica, il giudice che dichiari illegittimo il licenziamento intimato per sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni assegnate, allorché il datore di lavoro non abbia previamente accertato la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse e di pari livello attraverso i necessari adattamenti organizzativi, senza pregiudizio per gli altri lavoratori ed evitando alterazioni dell'organigramma aziendale.

8 ottobre 2018

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