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Infermieri: il tempo necessario alla vestizione deve essere retribuito.

Corte di Cassazione, sentenza 3901 del 2019.

La Corte di Appello di Perugia, in riforma di una sentenza del Tribunale di Orvieto, rigettava la domanda di alcuni infermieri presso il locale Ospedale, i quali avevano domandato la condanna dell'Ausl al pagamento del compenso a titolo di indennità per lavoro straordinario, per il tempo occorrente per la vestizione, anticipato di 15 minuti rispetto all'inizio del turno, e per il passaggio di consegne al personale del turno montante al termine dello stesso (15 minuti).

La Corte di Appello confermava la sentenza del primo Giudice là dove la stessa aveva rigettato la domanda relativa al riconoscimento dello straordinario per il passaggio di consegne a fine turno, riformandola nella parte in cui aveva accolto la pretesa con riferimento all'attività di vestizione a inizio turno.

La Corte di Appello invocava il principio vigente nel pubblico impiego contrattualizzato, secondo cui le prestazioni di lavoro straordinario per le quali si chiede il relativo compenso, devono essere preventivamente autorizzate.

Sotto tale aspetto, l'accertamento istruttorio svolto aveva dimostrato che i lavoratori non avevano provato che il dirigente del servizio infermieristico o gli organi competenti dell'Ausl avevano concesso la predetta autorizzazione, che, in contrario, era emerso che nessun ordine in tal senso era stato diramato da parte dei superiori e che non esisteva, presso l'Ausl di riferimento, una regolamentazione dei tempi di vestizione del personale.

I lavoratori proponevano ricorso per cassazione.

La Suprema Corte ha ricordato il principio di diritto secondo cui in materia di orario di lavoro nell'ambito dell'attività infermieristica, nel silenzio della contrattazione collettiva (nella specie il ccnl comparto sanità pubblica del 7 aprile 1999), il tempo di vestizione-svestizione dà diritto alla retribuzione al di là del rapporto sinallagmatico, trattandosi di obbligo imposto dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene, riguardanti sia la gestione del servizio pubblico sia la stessa incolumità del personale addetto.

Per quanto concerne il cambio abito, entrano in gioco comportamenti integrativi e strumentali all'adempimento dell'obbligazione principale, i quali nondimeno appaiono funzionali ai fini del corretto espletamento dei doveri deontologici della presa in carico del paziente e della continuità assistenziale.

In questo caso la vestizione è attività svolta non solo nell'interesse dell'azienda ma anche dell'igiene pubblica, essa deve ritenersi, pertanto, implicitamente autorizzata da parte dell'AUSL.

L'incombente ancorché correlato alla fase preparatoria, non è rimesso alla libertà del lavoratore, tanto che il datore può rifiutarne la prestazione senza di esso.

La Corte di Cassazione ha, pertanto, accolto i ricorsi dei lavoratori.

22 maggio 2019

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