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In tema di mobbing, il mero stato di vulnerabilità preesistente non esclude che il danno sia comunque conseguenza diretta ed immediata dell’azione illecita del datore di lavoro.

Corte di Cassazione, sentenza 31742 del 2021.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso di un’Azienda Ospedaliera avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano, che, ritenuta provata la condotta dell’amministrazione integrante mobbing e dequalificazione professionale nei confronti di una lavoratrice, aveva condannato l’ente al pagamento del risarcimento del danno.

La Corte di Appello aveva confermato la responsabilità dell’azienda, che non aveva salvaguardato la salute psichica della dipendente la quale, rientrata in servizio dopo l’assenza per maternità, era stata denigrata dal personale medico del reparto, sottoposta a forme eccessive di controllo, assegnata allo svolgimento di mansioni che implicavano l’utilizzazione di macchinari senza prima ricevere un’adeguata formazione.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Azienda Ospedaliera che ha denunciato il mancato accertamento del nesso causale e ha contestato alla Corte di Appello di avere quantificato il danno risarcibile non considerando l’incidenza del quadro patologico preesistente, del quale, invece, occorreva tener conto ai fini dell’accertamento del nesso causale e del quantum del risarcimento.

La Suprema Corte ha preliminarmente sottolineato che lo stato di salute anteriore della vittima può assumere rilevanza solo qualora in epoca antecedente al fatto illecito il danneggiato fosse già affetto da patologia con effetti invalidanti, sui quali si è innestata la condotta antigiuridica, determinando un aggravamento che, in assenza del fattore sopravvenuto, non si sarebbe prodotto. In questo caso, dunque, il giudice sarebbe tenuto a stimare il danno biologico tenendo conto della patologia pregressa, perché la lesione manifestatasi all’esito dell’azione illecita non è nella sua interezza una conseguenza immediata e diretta di quest’ultima, ma lo è soltanto per la parte che, secondo il giudizio controfattuale, non si sarebbe verificata in assenza della condotta antigiuridica tenuta dal danneggiante. Alla preesistenza di una patologia non può essere assimilato un mero stato di vulnerabilità, ossia una predisposizione non invalidante in sé, che non esclude la causalità, perché il danno risulta comunque conseguenza diretta ed immediata dell’azione illecita.

La Corte di Appello, facendo proprie le conclusioni alle quali il consulente tecnico d’ufficio era pervenuto, ha accertato che la patologia depressiva della lavoratrice dipendeva direttamente dalla matrice stressante dell’organizzazione che insisteva sulla condizione di vulnerabilità della dipendente. Per la Suprema Corte, quindi, la risoluzione della Corte di Appello non è censurabile, trattandosi di un accertamento sul fatto da cui è emerso che la patologia invalidante, seppure favorita da un fattore predisponente, era insorta solo a seguito della condotta tenuta dal datore di lavoro, che aveva agito come concausa dell’evento dannoso e non come mero fattore di aggravamento di una patologia preesistente.

29 dicembre 2021

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