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In ipotesi di malattia non tabellata, la prova del nesso di causalità tra attività lavorativa e patologia deve essere valutata in termini di ragionevole certezza. Vittoria in Corte di Appello per lo Studio Legale Carozza.

Corte di Appello di Napoli, sentenza 2745 del 2020.

Un operaio, impegnato per una società produttrice di bulloni, per anni aveva svolto mansioni di addetto all’imballaggio ed alla tramoggia. Il medesimo aveva svolto sempre i suoi compiti in un capannone privo di qualsiasi dispositivo di insonorizzazione. I macchinari presenti nel sito produttivo insieme alle operazioni compiute hanno sempre provocato un continuo e notevole rumore.

La Corte di Appello di Napoli ha accolto il ricorso dell’operaio avverso una sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che aveva escluso l’origine professionale della malattia acustica che lo aveva colpito. In particolare, il Tribunale aveva ritenuto insussistente il nesso di causalità tra le mansioni espletate dal lavoratore (addetto a macchinari rumorosi) e la patologia acustica accertata nel corso dell’indagine medico-legale dal consulente, che aveva ritenuto la stessa discendente da origine causale extralavorativa. Il Tribunale, quindi, aveva affermato la natura multifattoriale e l’eziologia prevalentemente extralavorativa della patologia riscontrata.

Il lavoratore ha proposto appello deducendo la superficialità del parere medico-legale formulato dal consulente tecnico, sottolineando peraltro la contraddizione interna della consulenza, che da un lato aveva accertato la ricorrenza di lavorazioni astrattamente idonee a realizzare un nesso di derivazione causale tra patologia e modalità esecutive della prestazione e dall’altro lato aveva escluso l’eziologia professionale sotto un profilo solo astratto e generico. La difesa del lavoratore ha sostenuto che il rischio doveva considerarsi direttamente connesso alla tipologia di lavoro svolto ed alle modalità organizzative approntate in concreto. In tema di malattia professionale, la tutela assicurativa INAIL va estesa ad ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza dell'attività lavorativa, anche se non compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi specificamente indicati in tabella, dovendo il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causalità tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata.

Per i Giudici dell’Appello, in ipotesi di malattia non tabellata, la prova della causa di lavoro che grava sul lavoratore deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, ovvero, esclusa la rilevanza della mera possibilità di eziopatogenesi professionale, questa può essere ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità, che può essere ritenuto sussistente sulla base di accertamenti operati dal giudice di merito. In particolare, in tema di malattie che non consentono con certezza l’individuazione di una causa determinata, può ritenersi fornita la prova ogni qual volta si riscontrino l’esposizione a fattori che possono causare la patologia con tempi, modalità ed intensità tali da potere svolgere un apporto causale e l’insorgenza della malattia in capo all’assicurato.

La Corte di Appello ha anche sottolineato che la colpa del lavoratore non rileva perché l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro fa riferimento, ai fini della limitazione del suo ambito di operatività, alla nozione di occasione di lavoro e, quindi, non considera ragione ostativa della sua operatività la colpa, ancorché esclusiva, del lavoratore.

Sulla base della ricostruzione del nesso eziologico astrattamente ricorrente tra lavorazioni rumorose accertate e insorgenza della patologia, dunque, la Corte di Appello ha disposto una nuova consulenza tecnica medico-legale, da cui è emersa la sussistenza del nesso di causalità tra la patologia e l’attività lavorativa espletata dal lavoratore.

Pertanto, la Corte di Appello ha riconosciuto il diritto del lavoratore all’indennizzo per inabilità permanente parziale.

15 gennaio 2021

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