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Il trasferimento disciplinare non si pone in contrasto con la legge 104/1992 in materia di assistenza alle persone disabili

Corte di Cassazione, sentenza 6917 del 2015.

Un magistrato subiva un provvedimento di trasferimento di sede per motivi disciplinari.
Il medesimo, però, chiedeva di essere destinato ad una sede più vicina per assistere la madre in condizione di invalidità e proponeva ricorso alla Corte di Cassazione.
La legge 104/1992 ha stabilito che il genitore o il familiare, lavoratore pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede. La norma riconosce al lavoratore che assista un parente invalido la scelta della sede di lavoro all'atto dell'assunzione, od anche nel caso di successivo trasferimento a domanda.
Ciò, però, ove possibile; l'esercizio del diritto non deve comportare una lesione eccessiva delle esigenze organizzative ed economiche del datore di lavoro privato, o determinare un danno per la collettività, compromettendo il buon andamento e l'efficienza della pubblica amministrazione.
La stessa finalità di contemperamento di opposti interessi privati e pubblici, tutti parimenti rapportabili a valori di rango costituzionale, permane pur dopo la novella del 2000 che ha tolto il requisito della convivenza, lasciando, però intatti tutti gli altri: effettiva continuità nell'assistenza, carattere di particolare gravità dell'handicap di cui soffre il congiunto, necessità di prestazioni assistenziali permanenti, incompatibili con sede distante, mancanza di altri supporti parentali.
La legge 104/1992 non sarebbe opponibile al trasferimento cautelare. Tale misura è finalizzata ad evitare che la permanenza nel luogo in cui si sono verificati i fatti oggetto della contestazione in sede disciplinare possa ulteriormente aggravare la posizione dell'interessato e il prestigio dell'istituzione di appartenenza.
La Corte di Cassazione ha, quindi, rigettato il ricorso del magistrato.

27/04/2015
 

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