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Il diritto alla salute non può essere compromesso.

Corte di Cassazione, sentenza 7279 del 2015.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una ASL che impugnava la sentenza con la quale era stata condannata ad erogare gratuitamente una particolare terapia.

Il giudice di appello aveva accertato che rispetto alla terapia offerta dal s.s.n. (che aveva comportato solo un lieve miglioramento della tetraplegia da cui era affetta l'interessata, senza alcuna possibilità di effettuare spostamenti di alcun tipo in posizione eretta, con conseguente necessità di essere assistita completamente per tutte le attività quotidiane), il trattamento richiesto aveva condotto ad un deciso miglioramento delle condizioni, con possibilità di deambulare per diverse decine di minuti con l'ausilio di deambulatore, e poi soltanto di stampelle, accrescendo le capacità motorie nei vari trasferimenti posturali, riuscendo anche a lavarsi da sola e ad utilizzare le posate, potendo dedicarsi anche a talune attività lavorative e di svago.

Il diritto alla salute non può essere sacrificato o compromesso dalla discrezionalità amministrativa, dovendosi escludere la configurabilità di atti amministrativi, condizionanti il diritto all'assistenza.

La sussistenza o meno del diritto all'erogazione della prestazione richiesta da parte del Servizio Sanitario Nazionale deve essere accertata in relazione ai presupposti della disciplina in materia sanitaria del D.Lgs. 502/1992.

La Corte di Appello aveva affermato, anche attraverso una CTU medico legale, che la terapia richiesta mirava a favorire il recupero motorio nei distretti muscolari deficitari dell'interessata, la quale a seguito di un grave infortunio stradale ebbe a riportare un grave quadro neurologico con compromissione spinale, ed a sviluppare strategie motorie col risultato di aumentare la sua autonomia funzionale.

Prima del trattamento invocato, allorquando usufruiva unicamente delle prestazioni erogate dal s.s.n., la signora non era in grado di assumere la stazione eretta e di deambulare in alcun modo, mentre in esito alla diversa terapia acquisiva una apprezzabile possibilità di deambulare con tutori e la posizione eretta veniva mantenuta con accresciuto controllo del tronco.

In base al principio di efficacia enunciato dal D.Lgs. 502/1992, i benefici conseguibili con la prestazione richiesta devono essere posti a confronto con l'incidenza della pratica terapeutica sulle condizioni di vita del paziente, dovendosi considerare la compromissione degli interessi di socializzazione della persona derivante dalla durata e gravosità dell'impegno terapeutico.

Il principio di efficacia ed appropriatezza della terapia, non può essere eluso dalla mera carenza di evidenze scientifiche disponibili e ciò sia per l'equivalenza, nella stessa lettera della legge dei due precetti, sia in quanto le evidenze scientifiche possono venire in rilievo allorquando sia stato scientificamente provata l'inefficacia della cura in questione, e non già quando essa sia solo dubbia.

 

7 aprile 2017

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