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Il danno differenziale, causa di servizio e conoscenza dello stato di salute del dipendente.

Corte di Cassazione, sentenza 14865 del 2017.

La Corte d'appello di Roma rigettava le domande proposte da un dipendente confronti del Ministero della Giustizia.

Il lavoratore esponeva di essere ufficiale giudiziario e chiedeva la condanna dell'Amministrazione al pagamento del risarcimento del danno biologico per non averlo adibito a mansioni più consone al proprio stato di salute. Il lavoratore, già affetto da una grave menomazione fisica invalidante, essendo privo di visus all'occhio destro, nel corso della propria vita lavorativa si ammalava risultando affetto da una grave sindrome ansioso-depressiva con manifestazioni acute.

La Corte di Cassazione, investita della controversia, confermava il rigetto delle domande.

La responsabilità del datore di lavoro per la salute e sicurezza del lavoratore è di carattere contrattuale. Il lavoratore deve allegare e provare la esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno ed il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno.

La responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi.

Né la riconosciuta dipendenza delle malattie da una causa di servizio implica necessariamente, o può far presumere, che gli eventi dannosi siano derivati dalle condizioni di insicurezza dell'ambiente di lavoro, potendo essi dipendere piuttosto dalla qualità intrinsecamente usurante della ordinaria prestazione lavorativa e dal logoramento dell'organismo del dipendente esposto ad un lavoro impegnativo per un lasso di tempo più o meno lungo, restandosi così fuori dall'ambito dalla responsabilità contrattuale del datore di lavoro ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici.

La responsabilità del datore di lavoro per la violazione dell'obbligo di sicurezza non ricorre per la sola insorgenza della malattia del lavoratore durante il rapporto di lavoro, richiedendosi che l'evento sia ricollegabile a un comportamento colposo dell'imprenditore che, per negligenza, abbia determinato uno stato di cose produttivo dell'infermità e che l'oggetto della prova del datore di lavoro è necessariamente correlato alla identificazione delle modalità del fatto e presuppone, in relazione ad esse, l'accertamento delle cause che lo hanno determinato, cause che devono essere provate dal lavoratore. Tra le misure da apprestare non rientra la diminuzione del carico lavorativo del dipendente, quando non vi sia la prova della eccessività quantitativa o qualitativa delle prestazioni richieste.

La violazione da parte del datore di lavoro dell'obbligo adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità del dipendente, ove sia stata causa di danno, può essere fatta valere con azione risarcitoria. Tuttavia, è pur sempre necessario che siano ravvisabili, nella condotta del datore di lavoro, profili di colpa cui far risalire il danno all'integrità fisica patito dal dipendente. Pertanto, quando l'espletamento delle mansioni proprie della qualifica di appartenenza sia incompatibile con lo stato di salute del lavoratore e comporti l'aggravamento di una preesistente malattia, non può ritenersi responsabile il datore di lavoro per non aver adottato le misure idonee a tutelare l'integrità fisica del dipendente, ove non risulti che egli era a conoscenza dello stato di salute di quest'ultimo e dell'incompatibilità di tale stato con le mansioni affidategli.

Nel caso affrontato, è mancata la prova che l'espletamento delle mansioni proprie della qualifica di appartenenza fosse incompatibile con lo stato di salute del lavoratore e comportasse l'aggravamento di una preesistente malattia, non risultando che il datore di lavoro fosse a conoscenza dell'incompatibilità di tale stato di salute con le mansioni affidategli; ciò in ragione del verbale della Commissione medica ospedaliera, che aveva escluso la dipendenza da causa di servizio delle patologie cui era affetto il dipendente ritenendolo abile allo svolgimento delle funzioni del proprio profilo professionale.

Il datore di lavoro risponde solo del danno derivante dalla mancata adozione di misure cautelari e non quello derivante dalla qualità intrinsecamente usurante dell'ordinaria prestazione lavorativa e/o dal logoramento dell'organismo del dipendente che sia rimasto esposto ad un lavoro impegnativo per un lasso di tempo più o meno lungo.

 

26 luglio 2017

 

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