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Ergonomia del luogo di lavoro e malattie professionali.

Corte di Cassazione, sentenza 5816 del 2021.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso di una lavoratrice avverso la sentenza della Corte di Appello di Trento di diniego alla richiesta di accertamento della responsabilità della società datrice di lavoro per la malattia professionale da cui era affetta, con conseguente risarcimento del danno.

La lavoratrice lamentava che l’ergonomia della postazione di lavoro e l’uso dell’aria condizionata durante il periodo primaverile ed estivo le avessero causato una lesione dell'integrità psicofisica provocando patologie alla schiena, malattie respiratorie e un disturbo dell’adattamento d’ansia. La Corte di Appello aveva affermato l'insussistenza dei presupposti per ricondurre le patologie denunciate alla condotta colpevole del datore di lavoro, mancando in particolare la prova della derivazione della malattia da cause di lavoro, che doveva essere fornita dalla lavoratrice poiché le denunciate patologie non sono inserite nelle tabelle INAIL, per cui si presume la derivazione professionale della malattia.

La lavoratrice ha proposto ricorso in cassazione lamentando che i giudici del merito avessero errato nel non aver posto a carico del datore di lavoro l'onere di provare l'insussistenza del nesso causale tra la malattia e l'ambiente lavorativo, poiché tale nesso doveva presumersi in quanto i microtraumi e le posture incongrue per attività eseguite con ritmi continui e ripetitivi per almeno la metà del tempo del turno di lavoro sono inseriti nelle tabelle riguardanti le malattie professionali.

La Cassazione ha osservato che, come evidenziato dalla consulenza tecnica espletata in secondo grado, le malattie denunciate dalla lavoratrice erano da ricondursi ad una patologia la cui genesi non è di natura professionale, ossia ad una forma di fibromialgia, non inserita nell'elenco delle malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità né nell'elenco delle malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità. Nella decisione della Corte di Appello impugnata, infatti, è precisata l’esclusione l’origine professionale della malattia non essendo l'attività lavorativa caratterizzata dallo svolgimento di compiti ciclici ripetitivi. La Suprema Corte ha ribadito che, in caso di malattia non prevista dalle tabelle, incombe sul lavoratore l'onere di provare il nesso causale tra la malattia e ambiente lavorativo.

31 marzo 2022

 

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