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Dipendente contagiato al lavoro per insufficienti precauzioni ed obbligo di risarcimento.

Corte di Cassazione, sentenza 26512 del 2020.

Un medico specialista in ginecologia ed ostetricia, in servizio presso il Policlinico Gemelli di Roma, ha proposto ricorso nei confronti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, al fine di ottenere l'accertamento della responsabilità di quest'ultima per la epatopatia cronica attiva HCV correlata, contratta durante lo svolgimento del proprio lavoro presso il Gemelli. L’interessato ha sostenuto che la sua patologia sarebbe stata conseguenza della mancata predisposizione, da parte della datrice di lavoro, di tutte le misure di sicurezza idonee ad evitare il contagio.

La Corte di Appello di Roma, dopo il rigetto del Tribunale in primo grado, ha accolto la domanda di accertamento della responsabilità datoriale per la malattia contratta. La Corte di Appello di Roma ha osservato che la patologia doveva ritenersi dipendente da causa di servizio in quanto risultava provato il nesso eziologico tra l'infermità e l'attività di servizio.

L'Università datrice di lavoro ha proposto ricorso per cassazione, respinto dalla Suprema Corte.

La responsabilità datoriale per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l'integrità fisica del lavoratore discende o da norme specifiche o dalla norma di ordine generale di cui all'articolo 2087 del codice civile, costituente norma di chiusura del sistema antinfortunistico estensibile a situazioni ed ipotesi non espressamente considerate e valutate dal legislatore e che impone all'imprenditore l'obbligo di adottare, nell'esercizio dell'impresa, tutte le misure che, avuto riguardo alla particolarità del lavoro in concreto svolto dai dipendenti, siano necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica dei lavoratori. La responsabilità del datore di lavoro non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, ma deve ritenersi volta a sanzionare l'omessa predisposizione delle misure e cautele atte a preservare l'integrità psico-fisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale, del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio. Il datore di lavoro, quindi, quale garante ultimo della incolumità psico-fisica dei lavoratori, non deve limitarsi a predisporre le misure di sicurezza ritenute necessarie e ad informare i dipendenti delle stesse, ma deve, altresì, attivarsi e controllarne, con prudente e continua diligenza, la puntuale osservazione.

Nel caso affrontato, l'onere della prova gravava sul datore di lavoro, che avrebbe dovuto dimostrare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno derivato al medico attraverso l’adozione di cautele previste in via generale e specifica dalle norme antinfortunistiche. Al contrario, l'Università datrice di lavoro si è limitata ad eccepire la genericità delle allegazioni del lavoratore senza provare di avere posto in essere tutte le misure di sicurezza atte ad evitare il contagio.

10 marzo 2021


 

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