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Criteri per l'accertamento del diritto all'assegno ordinario di invalidità.

Corte di Appello di Napoli sentenza 5111 del 2015.

Un lavoratore, che aveva sempre svolto attività di operaio meccanico presso un'azienda elettrica come addetto alla manutenzione delle centrali, proponeva nel 2007 domanda all'INPS per il riconoscimento dell'assegno di invalidità ai sensi della legge 222/1984.

Il lavoratore lamentava di aver contratto nel corso degli anni di attività una serie di patologie tali da determinare la permanente riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle sue attitudini professionali.

L'INPS negava al lavoratore il riconoscimento del beneficio.

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sulla scorta di un relazione del consulente di ufficio resa nel corso del processo, accertava il diritto del lavatore a percepire l'assegno di invalidità.

L'INPS impugnava la sentenza del Tribunale.

La Corte di Appello di Napoli disponeva una nuova relazione peritale. Il CTU nominato esponeva che il complesso morboso dell'interessato con riferimento alle attività confacenti alle sue attitudini non avrebbero ridotto a meno di un terzo la capacità lavorativa. Il CTU, diversamente da quanto valutato nel primo grado di giudizio, riteneva non raggiunta la soglia invalidante necessaria per il riconoscimento del diritto all'assegno ordinario di invalidità.

La Corte di Appello di Napoli ha ricordato che nell'apprezzamento della residua capacità di lavoro, in sede di accertamento del diritto all'assegno ordinario di invalidità, si deve tener conto del quadro morboso complessivo del soggetto assicurato e non delle singole manifestazioni morbose, considerate l'una indipendentemente dalle altre, né può procedersi a somma aritmetica delle percentuali di invalidità relative a ciascuna delle infermità riscontrate, dovendo invece compiersi una valutazione complessiva di esse, con riferimento alla loro incidenza sull'attività svolta in precedenza e su ogni altra confacente, intendendosi per tale quella che possa essere svolta dall'assicurato per età, capacità ed esperienza, senza esporre ad ulteriore danno la sua salute.

La Corte di Appello rilevava che la consulenza di ufficio resa nel primo grado era stata errata perché il giudizio era stato formulato sulla base di criteri medico-legali utilizzabili, invece, per la valutazione dell'invalidità civile ai sensi delle legge 118/71.

02 novembre 2015

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