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Congedo straordinario anche al figlio che ancora non convive con il genitore disabile.

Corte Costituzionale, sentenza 232 del 2018.

Il TAR Lombardia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 42 del decreto legislativo 151/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) nella parte in cui richiede, ai fini dell’ottenimento del congedo, la preesistente convivenza dei figli con il soggetto da assistere.

Il TAR doveva decidere sul ricorso di un agente penitenziario, che aveva chiesto di beneficiare del congedo straordinario retribuito per l’assistenza al padre malato. Il Ministero della giustizia, dopo avere riscontrato che il lavoratore e il genitore da assistere non convivevano, aveva rigettato l’istanza.

L’articolo 42 del decreto legislativo 151/2001 subordina al requisito della pregressa convivenza la concessione del congedo straordinario retribuito.

Per l’assistenza a persona disabile il legislatore prevede, oltre alle provvidenze dei permessi e del trasferimento, disciplinate dall’articolo 33 della legge 104/1992, l’istituto del congedo straordinario, circoscritto a ipotesi tassative e contraddistinto da presupposti rigorosi.

Il congedo spetta solo per l’assistenza a persona in condizioni di disabilità grave, debitamente accertata, che si ravvisa solo in presenza di una minorazione, singola o plurima, che abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione.

Il congedo non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell’arco della vita lavorativa.

Il congedo straordinario è retribuito con un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione e si configura come un periodo di sospensione del rapporto di lavoro, coperto da contribuzione figurativa.

La concessione di tale beneficio si accompagna a ulteriori limitazioni, che sanciscono l’irrilevanza del relativo periodo ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto.

Il congedo straordinario non può essere riconosciuto a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona.

Il congedo spetta, in primo luogo, al coniuge convivente, che è legittimato a goderne entro sessanta giorni della richiesta. In caso di mancanza, di decesso o di patologie invalidanti del coniuge convivente, subentrano il padre o la madre anche adottivi. La mancanza, il decesso o le patologie invalidanti dei genitori conferiscono a uno dei figli conviventi il diritto di richiedere il congedo straordinario, che è poi riconosciuto in favore di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi quando anche i figli conviventi manchino, siano deceduti o soffrano di patologie invalidanti.

La Corte Costituzionale ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 42 del decreto legislativo 151/2001, nella parte in cui non annoverava tra i beneficiari del congedo straordinario anche i parenti o gli affini entro il terzo grado conviventi, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione.

Dapprima riconosciuto ai soli genitori e, in caso di loro scomparsa, ai fratelli o alle sorelle conviventi con la persona in condizioni di disabilità grave in atto da almeno cinque anni e che abbiano titolo a fruire dei permessi retribuiti di cui all’articolo 33 della legge 104/1992, il congedo straordinario ha visto progressivamente estendersi l'ambito di applicazione, per impulso del legislatore e della giurisprudenza della Corte Costituzionale.

Con la legge 350/2003, il legislatore ha svincolato il beneficio dal presupposto della permanenza da almeno cinque anni della situazione di disabilità grave.

La Corte Costituzionale ha gradualmente ampliato la platea dei beneficiari e vi ha incluso dapprima i fratelli o le sorelle conviventi con il disabile, anche nell’ipotesi in cui i genitori siano impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio perché a loro volta inabili, e successivamente, in via prioritaria rispetto agli altri congiunti, il coniuge convivente e, nell’ipotesi di assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura del disabile, il figlio convivente.

Con il decreto legislativo 119/2011, il legislatore ha innovato i tratti distintivi dell’istituto: il congedo straordinario ha finito così con l’assumere una portata via via più ampia, in armonia con l’esigenza di salvaguardare la cura del disabile nell'ambito della famiglia e della comunità di vita cui appartiene e così di tutelarne nel modo più efficace la salute, di preservarne la continuità delle relazioni e di promuoverne una piena integrazione.

Il congedo straordinario valorizza le espressioni di solidarietà esistenti nel tessuto sociale e, in particolare, in ambito familiare, conformemente alla lettera e allo spirito della Costituzione, a partire dai principi di solidarietà e di sussidiarietà.

Il diritto del disabile di ricevere assistenza nell'ambito della sua comunità di vita, inscindibilmente connesso con il diritto alla salute e a una integrazione effettiva, rappresenta il fulcro delle tutele apprestate dal legislatore e finalizzate a rimuovere gli ostacoli suscettibili di impedire il pieno sviluppo della persona umana.

Nella disciplina di sostegno alle famiglie che si prendono cura del disabile convergono non soltanto i valori della solidarietà familiare, ma anche un complesso di valori ispiratori del disegno costituzionale.

Nell’estendere il congedo straordinario oltre l’originaria cerchia dei genitori, il legislatore ha attribuito rilievo esclusivo alla preesistente convivenza con il disabile, al fine di salvaguardare quella continuità di relazioni affettive e di assistenza che trae origine da una convivenza già in atto. La convivenza non si esaurisce in un dato meramente formale e anagrafico, ma esprime, nella quotidiana condivisione dei bisogni e del percorso di vita, una relazione di affetto e di cura.

Tale presupposto, ispirato a una finalità di preminente tutela del disabile, rischia nondimeno, per una sorta di eterogenesi dei fini, di pregiudicarlo, quando manchino i familiari conviventi indicati in via prioritaria dalla legge e vi sia solo un figlio, all’origine non convivente, pronto a impegnarsi per prestare la necessaria assistenza.

L’ancoraggio esclusivo al criterio della convivenza finisce con il vanificare la finalità del congedo straordinario. Quest’ultimo mira a colmare le lacune di tutela e a far fronte alle emergenti situazioni di bisogno e alla crescente richiesta di cura che origina, tra l’altro, dai cambiamenti demografici in atto, in particolare, a quelle situazioni di disabilità che si possono verificare in dipendenza di eventi successivi alla nascita o in esito a malattie di natura progressiva o, ancora, a causa del naturale decorso del tempo.

Un criterio selettivo così congegnato compromette il diritto del disabile di ricevere la cura necessaria dentro la famiglia, proprio quando si venga a creare una tale lacuna di tutela e il disabile possa confidare soltanto sull’assistenza assicurata da un figlio ancora non convivente al momento della richiesta di congedo.

Tali situazioni sono ugualmente meritevoli di adeguata protezione, poiché riflettono i mutamenti intervenuti nei rapporti personali e le trasformazioni che investono la famiglia, non sempre tenuta insieme da un rapporto di prossimità quotidiana, ma non per questo meno solida nel suo impianto solidaristico. Può dunque accadere che la convivenza si ristabilisca in occasione di eventi che richiedono la vicinanza quale presupposto per elargire la cura al disabile. Il ricomporsi del nucleo familiare si caratterizza in questi casi per un ancor più accentuato vincolo affettivo.

Il requisito della convivenza ex ante, inteso come criterio prioritario per l’identificazione dei beneficiari del congedo, si rivela idoneo a garantire, in linea tendenziale, il miglior interesse del disabile. Tale presupposto, tuttavia, non può assurgere a criterio indefettibile ed esclusivo, così da precludere al figlio, che intende convivere ex post, di adempiere in via sussidiaria e residuale i doveri di cura e di assistenza, anche quando nessun altro familiare convivente, pur di grado più lontano, possa farsene carico.

Tale preclusione sacrifica in maniera irragionevole e sproporzionata l’effettività dell’assistenza e dell’integrazione del disabile nell'ambito della famiglia.

La Corte Costituzionale ha, pertanto, dichiaro l’illegittimità costituzionale dell’articolo 42 del decreto legislativo 151/2001 nella parte in cui non annovera tra i beneficiari del congedo straordinario il figlio che, al momento della presentazione della richiesta, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza degli altri soggetti legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge.

21 dicembre 2018

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