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Beneficio per le vittime del dovere: la Pubblica Amministrazione non ha discrezionalità.

Sezioni Unite della Cassazione, sentenza 759 del 2017.

Il Ministero della Difesa ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza con cui la Corte d'Appello di Ancona confermato l’accoglimento del ricorso di un cittadino inteso ad ottenere il riconoscimento, ai fini dell'attribuzione dei benefici conseguenti, dello status di vittima del dovere o di soggetto equiparato, ai sensi della legge 266/2005.

Tale riconoscimento era stato richiesto in relazione alle gravi invalidità permanenti, riportate nell'espletamento del servizio militare obbligatorio di leva, durante un'esercitazione notturna.

Le Sezioni Unite hanno affermato che, in relazione ai benefici di cui alla legge 266/2005, in favore delle vittime del dovere, il legislatore ha configurato un diritto soggettivo, e non un interesse legittimo, in quanto, sussistendo i requisiti previsti, i soggetti interessati o i loro familiari superstiti, hanno una posizione giuridica soggettiva nei confronti di una P.A. priva di discrezionalità, sia in ordine alla decisione di erogare, o meno, le provvidenze che alla misura di esse. Tale diritto non rientra nell'ambito di quelli inerenti il rapporto di lavoro subordinato dei dipendenti pubblici, potendo esso riguardare anche coloro che non abbiano con l'amministrazione un siffatto rapporto, ma abbiano in qualsiasi modo svolto un servizio, ed ha, inoltre, natura prevalentemente assistenziale, sicché la competenza a conoscerne è del giudice del lavoro e dell'assistenza sociale.

All’interessato, allora in servizio come sergente di complemento dell'Esercizio Italiano, era stato comandato di partecipare ad una esercitazione a fuoco, e consistente in una simulazione di assalto notturno, da parte di un plotone di fucilieri, con utilizzo di munizioni convenzionali e di proiettili traccianti.

L'esercitazione rappresentava una attività speciale rispetto alla normale attività addestrativa fino ad allora compiuta dal militare e comprendeva, per come progettata, anche l'esplosione (il cui compito era affidato all’interessato in coppia con un commilitone) di una carica di tritolo da 200 grammi ciascuno con miccia a lenta combustione e relativo detonatore, precedentemente preparata da specialisti artificieri.

Ancorché nel piano dell'esercitazione l'esplosione delle due cariche dovesse avvenire contemporaneamente, era accaduto che, nonostante la contemporanea accensione delle due micce, esplodesse solo quella del commilitone dell'interessato, mentre quella affidata a costui restava inesplosa ed il suddetto, temendo che la carica esplosiva si innescasse in un secondo tempo e potesse colpire i fucilieri che, di lì a poco, dovevano passare sul posto, dopo aver verificato che la miccia non era accesa, aveva raccolto l'ordigno, che in quel momento era esploso, cagionandogli le lesioni poi valutate dipendenti da causa di servizio.

La Corte di Appello ha escluso che il gesto dell'interessato fosse da considerare abnorme, in quanto si era trattato di gesto istintivo del militare di allontanare il pericolo imminente per un gruppo di commilitoni, tanto più che, trattandosi di situazione di chiara emergenza, non era dato far riferimento ed affidamento ad una precisa direttiva o ordine superiore.

Al termine missione va attribuito il significato di attività istituzionali di servizio proprie delle Forze Armate riferite ad un'ampia gamma di ipotesi di impiego che hanno riguardo a tutti i compiti e le attività istituzionali svolte dal personale militare, che si attuano nello svolgimento di compiti operativi, addestrativi o logistici sui mezzi o nell'ambito di strutture, stabilimenti e siti militari, entro e fuori i confini nazionali. In tale accezione estensiva del termine missione, indipendentemente dagli scopi della missione (operativi, addestrativi o logistici), il requisito richiesto è quello dell'autorizzazione dell'autorità gerarchicamente o funzionalmente sovraordinata al dipendente.

Quando la norma parla di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali, vuole esprimere l'intenzione del legislatore di intendere il concetto di missione in senso estensivo, tanto con riferimento ai luoghi (dentro e fuori dai confini nazionali), quanto, e soprattutto, con riferimento alle tipologie e modalità (missioni di qualunque natura).

La missione può essere sia correlata ad un'attività di particolare importanza, connotata da caratteri di straordinarietà o di specialità, sia ad un'attività che tale non sia e risulti del tutto ordinaria.

Nel caso affrontato, se anche l'esercitazione rappresentava un tipo di addestramento speciale, ma comunque ordinario, cioè da espletarsi durante il servizio militare allora prestato dall’interessato, tale ordinarietà non nel escludeva la qualificazione di missione agli effetti della legge 266/2005.

La particolarità delle condizioni ambientali ed operative, può sicuramente consistere anche in una situazione venutasi a creare nel corso della missione e non preventivamente determinata.

Nel caso affrontato, il sopravvenire di una circostanza straordinaria che espose il militare a maggiori rischi, risulta essersi avuta per il fatto che, nonostante l'accensione della miccia, la carica esplosiva affidata al militare non esplose e che l'esistenza dello stato conseguente della carica era idonea a cagionare pericolo per i fucilieri che stavano sopraggiungendo. L'evenienza che fronteggiò il militare non era contemplata dalla attività addestrativa.

La Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, dunque, rigettato il ricorso del Ministero della Difesa confermando il riconoscimento, ai fini dell'attribuzione dei benefici conseguenti, dello status di vittima del dovere ai sensi della legge 266/2005.

26 marzo 2018

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