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Atti denigratori dei colleghi e malattia professionale. Vittoria in Tribunale per lo Studio Legale Carozza.

Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sentenza 466 del 2022.

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha accolto il ricorso di una dipendente comunale, che, deducendo di essere stata vittima di una serie di atti denigratori da parte dei colleghi reiterati nel tempo, aveva chiesto l’accertamento della natura professionale dei disturbi di carattere psicologico patiti con contestuale condanna dell’INAIL al pagamento di un indennizzo.

La lavoratrice affermava di essere stata oggetto di un provvedimento di licenziamento successivamente dichiarato nullo e di essere stata vittima di un costante demansionamento e svuotamento delle mansioni e che, da tali condotte datoriale, era scaturito un disturbo dell’adattamento cronico con ansia.

Il Tribunale ha precisato che si definiscono malattie professionali quelle che colpiscono i lavoratori assicurati esposti in modo protratto al rischio tutelato e per le quali sia certa la derivazione causale dall’attività espletata. L’assicurato, dunque, deve contrarre la tecnopatia nell’esercizio ed a causa della lavorazione espletata o a causa degli specifici fattori patogeni cui è esposto per assolvimento del proprio lavoro, tenendo conto anche dell’influenza esercitata dall’ambiente di lavoro. A ciò bisogna aggiungere che la malattia professionale è determinata da una causa diluita nel tempo che agisce in modo graduale e continuo, con la conseguenza che la prova dell’eziologia professionale è molto più difficoltosa in quanto la causalità professionale si confonde con quella comune, diventando difficile differenziare quanto dipende dalla lavorazione o dai fattori di rischio inerenti ad essa o all’ambiente di lavoro e quanto, invece, dall’ambiente di vita comune o dalle altre attività extra lavorative. A tal fine sono da reputare tecnopatie le malattie, anche non previste dalle specifiche previsioni tabellari, di cui il lavoratore provi il nesso causale con l’attività lavorativa.

Nel caso in esame, dunque, il Tribunale ha osservato, basandosi sulle risultanze della consulenza tecnica, la sussistenza di un nesso eziologico tra la tecnopatia e l’attività lavorativa svolta. Il Giudice del lavoro ha riconosciuto che la sindrome ansiosa fosse riconducibile alla vicenda lavorativa della lavoratrice con conseguente danno biologico e diritto della dipendente a percepire l’indennizzo da danno biologico derivante da malattia professionale.

31 marzo 2022

 


 

 

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