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Assegno invalidità: per la valutazione della riduzione della capacità di lavoro rilevano il lavoro usurante e la residua efficienza psicofisica.

Corte di Cassazione, sentenza 1186 del 2016.

Una ostetricia chiedeva il riconoscimento del proprio diritto alla pensione di inabilità o all’assegno ordinario di invalidità di cui alla legge 222/1984.

Dopo il diniego dell'INPS, anche il Tribunale e la Corte di Appello respingevano la domanda.

La lavoratrice ricorreva in Cassazione lamentando che non si era tenuto conto degli effetti che il quadro patologico aveva avuto sull’attività di ostetrica, lavoro di grande responsabilità ed impegno fisico e psichico. L'interessata aveva subito l’asportazione dei carcinomi alla mammella e non era ancora trascorso il congruo lasso di tempo tale da escludere ulteriori recidive. I plurimi ricoveri ed interventi avevano, inoltre, influito anche sulle condizioni psichiche.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della lavoratrice.

L’assegno ordinario di invalidità è finalizzato a dare un mezzo di sostegno agli assicurati che, sebbene siano provvisti di residue capacità lavorative, si trovino nella condizione di non poter esercitare per ragioni di salute psico-fisica l’attività per la quale hanno l’attitudine.

Ai fini del giudizio sulla riduzione della capacità di lavoro, assume rilievo il carattere usurante dell’impegno in attività confacenti alle attitudini dell’interessato. Per lavoro usurante si intende quello che accelera ed accentua il logoramento dell’organismo (che si verifica in un tempo più breve ed in misura superiore rispetto alla norma), in quanto sproporzionato rispetto alla residua efficienza fisiopsichica di cui l’assicurato (afflitto da un complesso morboso invalidante) ancora dispone al momento della presentazione della domanda amministrativa, cui va riferito l’accertamento dei presupposti medico-legali del diritto alla pensione di inabilità e all’assegno ordinario di invalidità. Non può identificarsi l’usura derivante dallo svolgimento del suddetto tipo di lavoro con quella normale dipendente dalla protrazione dell’attività lavorativa, ma deve essere riferita alla evoluzione in senso peggiorativo delle infermità. Deve verificarsi se il lavoro è idoneo a determinare, nel suo perdurare, un grave pregiudizio per la residua efficienza fisica del lavoratore.

Secondo la Corte di Cassazione, la lavoratrice quando aveva presentato la domanda si trovava in condizioni incompatibili con lo svolgimento di un’attività gravosa come quella di ostetrica.

15 febbraio 2016

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