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Ansia e mondo del lavoro.

Intervento a cura del Dott. Armando Rispoli, Psicologo Psicoterapeuta.

La freneticità della vita, le richieste che ci arrivano dalla società, il messaggio che ci arriva costantemente a ricordarci che “andiamo bene se siamo sempre al top”, la necessità di nascondere a tutti i costi i nostri limiti, le nostre fragilità, il timore del giudizio, l’ambizione al perfezionismo e la necessità assoluta di controllo sono tutti fattori che contribuiscono, protratti nel tempo, a far sì che il nostro corpo e la nostra mente ci mandino dei segnali, diversi da persona a persona, ad indicarci che qualcosa sta andando in direzione opposta rispetto alla vera e autentica espressione di noi stessi.

E’ come se inconsapevolmente ci trovassimo in un luogo estraneo, oltre i nostri umani limiti di tollerabilità di relazioni frustranti, di impegni prestazionali, di prevedibilità delle cose, di ordine, di controllo e arrivi un campanello di allarme ad indicarci che è arrivato il limite, a ricordarci che esiste una parte molto intima di noi, più autentica, che è rimasta inascoltata per ore, giorni mesi o addirittura anni e che ora vuole avere il diritto di essere ascoltata. Spesso chiudiamo ogni via di comunicazione con la nostra parte più intima e le prime conseguenze non tardano ad arrivare, ma è davvero difficile attribuirle a questa mancanza di coerenza interna. Ci ritroviamo a sperimentare sensazioni spiacevoli, che non ci sono familiari e cominciamo a vederle come delle intrusioni, nella nostra quotidianità nei nostri progetti e nelle nostre faccende, oppure come più spesso accade cominciamo a spaventarci, a sentirci “anormali”.

Sono tutti quei segnali fisiologici e psicologici dell’ansia che ci mettono in uno stato di allerta, come se qualcosa dovesse succedere da un momento all’altro anche quando non ci sono contesti o situazioni in cui ci sono pericoli reali.

Queste manifestazioni, da una parte aumentano la sensazione di estraneità e di anormalità, preoccupandoci, facendoci sentire vissuti dall’ansia, senza controllo, e dall’altra ci fa sentire l’esigenza di doverli controllare, gestire, dominare, combattere. Per cui ci agitiamo, chiamiamo medici e ambulanza, fantastichiamo morti imminenti, fuggiamo via, prendiamo farmaci, mettiamo a dura prova noi stessi, in pratica mettiamo in atto tutta una serie di comportamenti che hanno l’obiettivo di rassicurarci.

Purtroppo queste rassicurazioni durano ben poco, non hanno un effetto rinforzativo, anzi, riducono la percezione personale di poter mantenere il controllo da sé, senza l’ausilio di espedienti esterni. Addirittura alcuni di questi comportamenti fanno aumentare e non diminuire l’onda sintomatica dell’ansia facendola sfociare in un attacco di panico.

Il risultato finale è che tutta l’attenzione viene assorbita dal sintomo e non da ciò che ha contribuito alla formazione del sintomo.

Anche la decifrazione delle nostre emozioni non saranno così chiare come una volta e potremmo provare paura quando invece dovremmo provare rabbia oppure rabbia quando in realtà siamo tristi perché delusi.

Spesso è proprio all’interno delle relazioni che tutto ciò nasce e si sviluppa in maniera non sempre funzionale: nella famiglia, nelle amicizie, nell’ambiente lavorativo.

All’interno delle organizzazioni lavorative la verticalità dei ruoli lascia poco spazio all’espressione dei vissuti emotivi e alla socializzazione. Inoltre la rincorsa verso obiettivi sempre più brillanti riporta sempre di più all’individualità a discapito del lavoro di squadra, a discapito dell’espressione delle proprie differenze in quanto risorse e della forza del gruppo visto come contenitore dei limiti individuali e sostenitore dell’espressione delle potenzialità dei singoli. Per cui si è portati a rimanere ancorati alla prestazione, a mettere da parte la creatività a respirare competitività e ad alienarsi all’interno dell’ambiente lavorativo. Aggiungiamo a tali dinamiche la sempre più crescente difficoltà di comunicazione umana ed una predisposizione, spesso psicosociale-familiare, a non esprimere i propri bisogni, a non negoziare le esigenze, a superare la frustrazione ad evitare la conflittualità, ad aver paura del giudizio e di sembrare differente ed ecco che l’ansia affiora, ma a quel punto non è più semplice comprendere che potrebbe rappresentare l’unico elemento realmente in grado di fermarci per ricordare a noi stessi che quella non è la nostra autenticità. Bisogna imparare a leggerla diversamente e ricordarci innanzitutto che l’ansia è uno strumento primitivo dell’essere umano che ha come principale motivo d’ essere, quello di preservare la nostra esistenza. La nostra responsabilità è quella di darle ascolto.

 

07 marzo 2017

Dott. Armando Rispoli

Psicologo Psicoterapeuta

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